il manifesto
12 Giugno 1999 
 

ONU

 Delle bombe costituenti

ISIDORO D. MORTELLARO 

P er secoli, la guerra ci ha sospinto nel tempo. Per tappe sempre più catastrofiche e sanguinose, ha fissato, come pietra miliare, i confini di regni e principati, ma anche la successione di età e civiltà. Come "guerra costituente", segnando il passo d'una storia e di relazioni e ordinamenti sempre più mondiali e condivisi, ci ha accompagnato fin sull'orlo dell'abisso. Lì, amministrata dalle superpotenze quale minaccia estrema dell'Olocausto nucleare, suicidio dell'umanità, è sembrata sostare a lungo svuotata, priva di senso, incapace di significare oltre il nostro cammino.A distanza di mezzo secolo, la dissoluzione per la prima volta 'pacifica' di un impero, quello sovietico, è parsa ai più suonare conferma di una possibilità allora solo intravista. Lo Stato ha volto altrove le sue micidiali pulsioni: riconvertito da guerriero a mercante, al Trading State di Richard Rosecrance, ora anima le transazioni e i giochi più pacifici e tranquillizzanti della geoeconomia, del mondo ridotto a mercato. A confermarlo, del resto, non stanno forse le success stories, i successi di Germania e Giappone? Potenze sconfitte nella II guerra mondiale e costituzionalmente impedite alla guerra e ai suoi traffici, hanno vinto fino ad assurgere all'Olimpo del G7 e a premere per una riforma dell'Onu che le promuova ora a membri permanenti del Consiglio di sicurezza.

 In realtà, la nascita dell'Onu come incarnazione del sogno di "salvare le future generazioni dal flagello della guerra", si fondava su una straordinaria esaltazione della politica e dello Stato moderni. Li si pensava come protagonisti d'una nuova pacifica lotta, per l'"eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole". Li si obbligava a "promuovere il progresso sociale", fosse esso declinato come "socialismo" più o meno reale, "Welfare" o "aiuto" a chi ancora arrancava nelle retrovie del mondo. E la sconfitta del colonialismo, la richiesta di un altro modello di sviluppo, volto alla promozione umana, sembrarono suonar conferma di questo cammino.

 La rivoluzione neo-conservatrice doveva interrompere questo percorso, avviando il globo per un rovinoso accumulo di armi e profitti stellari. L'Unione sovietica finiva al tappeto, ma il pianeta tutto ne usciva stremato. Alle possibilità di crescita della società civile internazionale per sentieri condivisi si opponeva il nuovo credo nelle salvifiche virtù della competizione e della libertà di mercato.

 All'Onu come forma di autogoverno dell'umanità si opponeva l'intelligenza dell'Occidente e delle sue tecnocrazie, raccolte nei nuovi e vecchi forum di G7 e Wto, Fmi e World Bank. Alla democrazia, una politica ridotta a servomeccanismo del mercato.E' una ricetta che scardina l'Onu e apre crepe nel mondo: lo spacca per diseguaglianze abissali e lo porta all'infarto ecologico. Costringe chi arriva tardi sul mercato a provare a dotarsi di un di più, a mobilitare altre risorse - identitarie, etniche, belliche, religiose - per competere o sopravvivere. Il nuovo unilateralismo Usa degli anni Novanta - alimentato dal dominio del "sesto continente", di quella nuova intelligenza che struttura comunicazione, finanza e guerra - prova a proporsi a collante di un pianeta esposto a sollecitazioni e rischi imprevedibili, alla possibile implosione.

 La guerra torna ad essere brandita come il male minore, ma inevitabile, in un mondo che mette a rischio quella grammatica minima di diritti indispensabile al fluire della globalizzazione. E' una versione dimidiata e minore dei diritti quella di cui adesso l'Occidente si fa paladino e garante, sganciata d'ogni progetto di promozione umana e di partecipazione democratica. Nelle sue punte più estreme, anzi, alimenta il sogno perverso di un nuovo governo degli ottimati, contro la comunità internazionale e la stessa democrazia.La guerra nei cieli di Serbia ha voluto segnare la conquista sul campo di battaglia di quel nuovo ruolo della Nato scientemente perseguito dagli Usa all'indomani della caduta del Muro e con l'avventura nel Golfo. Nei Balcani si è dato, e ancora una volta con la guerra, un nuovo calcio alla storia. Ad una Nato sempre più stretta nel vestito confezionato mezzo secolo fa - cucito col filo di chi, all'articolo 5 del Patto atlantico, ammetteva allora la guerra solo come risorsa estrema di difesa da attacchi estremi - si proposta una nuova divisa e una nuova missione: "prevenire i conflitti o, laddove si verifichi una crisi, contribuire ad una sua efficace gestione, nel rispetto delle norme di diritto internazionale, anche sfruttando la possibilità di condurre operazioni non previste dall'articolo 5". La guerra ora viene impugnata per rispondere all'"incertezza e all'instabilità nella regione euroatlantica e nella zona limitrofa", in risposta a "crisi regionali alla periferia dell'Alleanza", a eventi suscettibili di minacciare la stabilità euroatlantica quali "rivalità etniche e religiose, controversie territoriali, inadeguatezza o fallimento degli sforzi di riforma, violazione dei diritti umani e dissoluzione di Stati".

 E poi ancora, enumerando i nuovi pericoli da cui proteggersi attivamente: "esistenza di potenti forze nucleari all'esterno dell'Alleanza...proliferazione delle armi nucleari, batteriologiche e chimiche...atti di terrorismo, sabotaggio, o criminalità organizzata...interruzione degli approvviggionamenti vitali...grandi movimenti incontrollati di popolazione".Al Vertice di Washington i governi di vecchi e nuovi soci atlantici, già conquistati alla "guerra umanitaria" in Kosovo, hanno convenuto su queste nuove regole, facendo finta di muoversi ancora nel rispetto dello Statuto dell'Onu e dei Parlamenti che mezzo secolo fa vollero firmare la Carta atlantica. Questa volta non li si è interpellati né in America né in Europa, strette - come recita il Nuovo Concetto Strategico dell'Alleanza - in un "legame permanente" a difesa della stabilità occidentale. All'ombra di questa nuova missione, gli Europei stanno ora progettando la nuova Politica Estera e di Sicurezza Comune.

 Questo nucleo trans-atlantico - con allargamenti progressivi e il concorso di comprimari sospinti dal pungolo di Fmi e Wto - sta ora scrivendo trattati di pace che rischiano di costituirsi in principi di un nuovo ordine. La pax balcanica ci avvia ancora una volta al secolo nuovo, cullando la nuova pax americana. Non promette nulla di buono. Tanto meno la stabilità.