il manifesto
12 Giugno 1999 
 

ARTICOLO 11

 Quando uno stato non rispetta i patti

GIUSEPPE UGO RESCIGNO 

L e guerre sono fatte da Stati contro altri Stati ed hanno come scopo quello di privare il nemico di ogni capacità di difesa (la debellatio, come dicono gli esperti) e quindi di imporre al vinto qualunque condizione decida il vincitore. Gli Stati hanno il potere di costringere i loro cittadini a fare la guerra, e cioé ad uccidere e ad essere uccisi.

 Le costituzioni sono il moderno tentativo compiuto dai cittadini di sottoporre a limiti ed a vincoli il potere dello Stato. Esse dunque dovrebbero sottoporre a limiti e vincoli anzitutto e soprattutto il potere dello Stato di comandare la guerra, e cioé il potere dello Stato di ordinare ai propri cittadini di portare morte e distruzione contro altri esseri umani e nello stesso tempo di mettere a rischio la propria vita, fino alla morte.
 
 

C osì sembra (o sembrava) fare la nostra Costituzione. Il patto fondamentale che lega (o dovrebbe legare) i cittadini italiani dice con una nettezza ed una chiarezza difficilmente superabili che l'Italia "ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali" (art. 11). Il verbo "ripudia" non fu scelto per caso: dice molto di pi di "rifiuta" o "respinge" o "s'impegna a non muovere" e simili. La parole dice che l'Italia non solo non muoverà (non dovrebbe muovere) guerra per risolvere controversie internazionali, ma non appoggerà (non dovrebbe appoggiare) né con vendita di armi, né con sostegni politici, né con volontari, né con aiuti economici, né in qualsiasi altro modo quegli Stati che muovono guerra ad altri Stati per risolvere questioni tra loro controverse. A maggior ragione quella solenne proclamazione del patto costituzionale vieta all'Italia di usare armi ed armati contro altri Stati.

 La costituzione ammette la guerra (e infatti gli articoli 78 e 87 prevedono che essa venga deliberata dalle Camere e dichiarata dal Presidente della Repubblica): ma quella, e solo quella, che difende la Patria (art. 52). Poiché può accadere che, per difendere la Patria, sia necessario stringere alleanze difensive con altri Stati, è pacifico tra i costituzionalisti che l'aggressione militare contro uno Stato diverso dall'Italia ma con cui l'Italia ha un patto difensivo, giustifica anche in questo caso una guerra a difesa dello Stato aggredito (e come se l'Italia difendesse se stessa).

 Organi costituzionali traditori della costituzione, politici cialtroni che mentono sapendo di mentire, giuristi indegni del loro mestiere, sostengono che i patti internazionali (in questo caso il patto Nato) vanno rispettati, ingannando due volte: anzitutto perché il patto Nato è un patto difensivo che obbliga ad intervenire militarmente solo se uno degli Stati del patto viene aggredito (tanto è vero che la Grecia, paese Nato, non partecipa in alcun modo alla guerra contro la Serbia, e nessuno ha osato accusarla come violatrice del patto); in secondo luogo e soprattutto perché nessun patto internazionale può essere superiore alla Costituzione che il popolo italiano si è dato.
 
 

A ltri sostengono che si è affermata una consuetudine internazionale che rende legittime le guerre in difesa dei diritti umani, e che la costituzione in base all'art. 10 accetta le consuetudini internazionali generalmente riconosciute. Ammettiamo per amore di discussione che questa tesi sia esatta (così formulata non lo è affatto, ma sarebbe troppo lungo e tecnicamente complesso dimostrarlo qui). Quale nuovo diritto internazionale potremmo ricavare da questa guerra? Eccolo in due regole:

 Prima regola: la Nato (e quindi la Repubblica italiana entro la Nato) ha diritto di muovere guerra ad un altro Stato per ragioni umanitarie;

 Seconda regola: la Nato ha diritto di stabilire quando sussistono e quando non sussistono ragioni umanitarie, e se è opportuno intervenire militarmente oppure no.

 Se davvero queste due regole dovessero essere il pilastro del nuovo diritto internazionale (recepito dalla nostra Costituzione, come vorrebbero alcuni), tanto vale abolire ogni speranza di sottomettere i rapporti fra Stati a regole vincolanti per tutti: quelle due regole sono l'ennesima riedizione del principio per cui chi è più forte nei rapporti tra gli Stati fa quello che gli pare, e, data questa regola, non può esisterne nessun'altra.